VALENCIA - Erano spesso una cosa sola: "Vero". Nel muro di Valentino spunta una crepa. Sana, umanissima crepa che scende lentamente intaccando la solidità dell'impalcatura, vanificando i meccanismi di difesa, allontanando il terrore di sembrare fragile. Dimenticare è impossibile. Ricordare si deve: "Per questo non ho mai, nemmeno per un istante, pensato di smettere. Smettere non sarebbe stata una risposta adeguata". Lui e Marco amici dei momenti importanti, quando l'età non è mai una cosa seria, quando sei convinto che pensare sia del tutto superfluo, perché in fondo basta esserci, basta percepire, basta correre. Amici che non basta la vita o la morte ad allontanarti: "Non riesco a spiegare il vuoto dentro, ma posso dire che ogni giorno che passa mi avvicina a lui. Capisco che può sembrare un paradosso: ma non sono quasi più capace di provare tristezza nel dolore. Se penso a Marco mi viene da sorridere. Perché lui era così".
Conosciamo Valentino. Conoscevamo Marco. Ragazzi diversi eppure simili. Pezzi di mosaico dai capelli ricci che combaciavano perfettamente anche se la natura li avevano dotati di forme apparentemente inconciliabili (capelli a parte). Uno condannato per carattere a sgusciar via dall'emozione profonda (le "valentinate" sono giochi). L'altro incapace di farlo, condannato alla leggerezza, a una gioia spontanea, quasi immotivata. Erano una cosa sola anche dodici giorni fa a Sepang: "Io Marco e Colin". Una scultura in movimento, il tragico trittico di una carambola del destino, il colpo da maestro di uno dio senza cuore. Uno dei tre taglia la pista in due come un cartoncino, gli altri due se lo vedono improvvisamente lì davanti. Fine di un'era, fine dell'innocenza: "E la vita che entra in un'altra dimensione". Ma si può evitare uno che era come se fosse appena uscito da una vita laterale senza fermarsi allo stop? Non si può: "Ho visto e rivisto i tabulati della sua gara. Che sfortuna hai avuto, Marco mio".
Valentino non è più il flashato compagno di "cava" appena sceso dallo stesso aereo che aveva riportato a casa il corpo dell'amico. All'aeroporto di Fiumicino Valentino era irriconoscibile. Sapeva che gli si era rotto qualcosa ma non sapeva bene cosa. Ieri aveva gli occhi carichi d'acqua stagnante. Lacrime mai versate forse. Ieri quell'entusiasmo ovattato e consapevole nel cercare di darsi un futuro in nome di Marco somigliava a un pianto. Quasi pubblico. Valentino è stato capace di trovare forza nella sua debolezza: "In questi giorni sono stato molto con papà Paolo, con sua mamma Rossella. Famiglia straordinaria. E poi sono andato in moto per le mie strade". Quando si dice perdersi per ritrovarsi. Strade che erano anche quelle di Marco.
Sotto il cappellino si mescolano angoscia e speranza. Ma una cosa è certa: Valentino ripartirà. Sin da oggi, dalle prove a Valencia: "Certo salire di nuovo su una moto da corsa sarà durissima. Ma comunque vada la gara di domenica la dedico a lui". Come il casco celebrativo che verrà svelato soltanto domani. Due settimane come due anni. Potrà forse sembrare un po' invecchiato, Valentino, addirittura un po' più curvo del solito. Ma dopotutto loro vivono curvi. Anche Marco era curvo. Perché era grande e grosso e spargeva la sua allegria da un ramo all'altro del paddock, che adesso ricorda molto da vicino un albero senza foglie: "La sua forza fisica è stata la sua maledizione. Guidava anche con il corpo. La sua moto, in quella curva a destra, si sarà inclinata due, forse tre gradi in più del normale. Chiunque avrebbe mollato. Lui è riuscito a non scivolare. Poi è rimasto vittima di quell'equilibrio. Era come se il suo corpo fosse diventato la terza gomma della moto".
Amici che se ne vanno. Amici che restano: "Commovente la reazione della gente. Ho pensato: guarda quanti cuori aveva già spezzato Marco. Poi ho riflettuto: proprio perché era lui, proprio perché era così, la gente gli ha voluto subito bene". L'aggravante dell'amicizia: "Averlo davanti agli occhi e non poterlo salutare". Ma questo è uno sport tremendo: "La passione e la

: stiamo forse parlando della stessa cosa?". Diobò, avrebbe detto Marco, e chi lo sa?